Mestiere complesso e delicato per il ruolo strategico che riveste nella società, quello dell’insegnante è un lavoro che è influenzato in positivo o negativo anche dalla dimensione sociale…

 

Occupa il posto centrale (il terzo) nella celebre piramide dei bisogni di Abraham Harold Maslow (inciso: lo studioso americano, autore della teoria dei bisogni, non è però il padre della piramide, la cui storia è raccontata qui) collocandosi dopo i bisogni fisiologici e di sicurezza, e prima di autostima e realizzazione. Stiamo parlando dell’appartenenza, bisogno sociale che ogni persona condivide.

 

Perché ogni persona ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo?

Si tratta, come detto, di un bisogno essenziale, connaturato alla natura dell’essere umano. Questo bisogno ha un correlato cerebrale, significa cioè che il nostro cervello è strutturato in modo da aver fame di interazioni sociali positive. In particolare esistono neuroni legati alla cosiddetta “ricompensa sociale” e neuroni che si attivano per evitare l’isolamento: è come se il cervello riconoscesse sia la piacevolezza dello stare assieme, sia la potenziale pericolosità della solitudine.

 

Gruppi sociali e ruoli

La definizione tecnica di gruppo è “un insieme formato da due o più persone che interagiscono tra loro e che dividono mete e norme comuni che stanno a capo delle attività, sviluppando una rete di ruoli e di relazioni affettive” (Psicologia, Dizionario enciclopedico – Rom Harré, Roger Lamb, Luciano Mecacci). All’interno di un gruppo si cresce e soprattutto si impara a conoscere sé stessi. Il gruppo ci permette di “agire” la nostra personalità e di svolgere un ruolo. Proviamo a capire meglio: in una famiglia tipica c’è chi organizza, chi spinge a scoprire cose nuove, chi tende a lamentarsi, chi prende le redini delle relazioni con i vicini… sono tutti ruoli che strutturano il gruppo e che evidenziano le caratteristiche di ognuno.

Le persone hanno però molte dimensioni psicologiche e caratteriali e non sempre un solo ruolo è sufficiente a far sentire completa una persona. Anche qui è bene provare a fare un esempio: chi in famiglia ricopre il ruolo di confidente (colui o colei a cui si raccontano segreti e si chiedono consigli), non è detto che debba, voglia o possa avere la stessa funzione sociale anche sul luogo di lavoro; in questo caso ci sono 2 possibilità, la prima è che questa persona possa ricoprire un altro ruolo, magari meno oneroso dal punto di vista affettivo, sentendosi leggera e più libera, la seconda è che soffra nel constatare di essere considerata “meno” importante perché nessuno le affida segreti.

Il rapporto fra singole persone e collettività è qualcosa di estremamente complesso perché oscilla tra il bisogno, il desiderio, la proiezione e l’interazione. Quello che è certo è che sperimentarsi in una varietà di gruppi permette di crescere e raggiungere un miglior equilibrio. Step non sempre facile da compiere è quello di uscire dal ruolo che si ha come figli o figlie; chi ha la forza di mettersi in discussione e costruire la propria identità anche sperimentando cosa significa non essere solo “cocchi di mamma” (o viceversa perenni incapaci) riesce a vivere con maggiore serenità rispetto a chi tende a replicare ovunque ciò che fa nel gruppo-famiglia (pretendendo dagli altri lo stesso trattamento che riceve a casa).

 

La differenza fra gruppi primari e gruppi secondari

Ogni persona prende parte ad almeno un gruppo, anche se la norma è appartenere a diversi gruppi primari e secondari.

I gruppi primari sono i “mattoncini” della vita sociale, si tratta infatti di quei gruppi (come la famiglia o le persone amiche con cui si esce più spesso) in cui c’è la massima interazione, il massimo senso di appartenenza e un continuo cooperare faccia-a-faccia.

I gruppi secondari sono di solito formati da un numero più elevato di persone e si formano sulla base di un’occasione o di uno scopo. Per capire meglio: al primo giorno di scuola la classe è un gruppo secondario fatto da singole persone; all’ultimo giorno di scuola del quinto anno la classe, che rimane gruppo secondario, può essere composta da diversi gruppi primari (le aggregazioni che si formano spontaneamente per affinità e che di solito sono composte da 2-4 persone).

Nei gruppi primari c’è quindi più intimità, non ci sono scopi e si sta insieme per il solo piacere. Nei gruppi secondari possono formarsi legami profondi in grado di dar vita a gruppi primari ma si sta assieme soprattutto per motivi funzionali (come, per esempio, la partita di calcetto del giovedì) e venuto meno lo scopo i legami tendono a dissolversi.

 

I vari gruppi sociali dell’insegnante

Si parte, come è ovvio, dalla famiglia d’origine (o dalla sua assenza, nei casi in cui si sia avuta la sfortuna di non aver mai conosciuto i propri genitori) e si arriva dritti a scuola dove le cose prendono strade e ramificazioni non sempre lineari.

  • i gruppi-classe
    ogni classe è un gruppo, in classe si ha un ruolo formale (docente) ma si può essere anche chi “terrorizza” studenti o studentesse con esigenza e severità, oppure chi valorizza i piccoli passi, o chi stupisce con proposte didattiche spettacolari. Non è detto che in ogni classe, chi insegna abbia sempre lo stesso ruolo…
  • il gruppo-docenti
    può capitare che il ruolo che si avrebbe in base alle caratteristiche personali (come carisma o capacità organizzative) sia quello che si ricopre in questo gruppo, è infatti possibile che la struttura formale degli incarichi e delle responsabilità sovverta quella che sarebbe una differenziazione naturale all’interno del gruppo. In alcuni casi tutto ciò può far nascere qualche malumore, che è importante saper gestire per il bene del gruppo (chi ha grande capacità di sfruttare le tecnologie può trovare intollerabile che il coordinatore della didattica comunichi con mezzi cartacei ma se non controlla il proprio disappunto può generare dinamiche di gruppo non esattamente funzionali…)
  • il gruppo-scuola
    è un gruppo più ampio che, quando c’è soddisfazione diffusa, può suscitare orgoglio (ma che in situazioni di disagio diffuso può deprimere). Si tratta di un gruppo in cui ci sono gerarchie, “correnti” e sottogruppi
  • i gruppi extrascolastici
    il condominio, le conoscenze, lo sport, la parrocchia e tutte quelle occasioni di gruppo in cui chi insegna si trova ad agire, sono scenari nei quali l’appartenenza al cosiddetto “corpo docente” ha un suo peso. È possibile che alle riunioni di condominio si sia “la professoressa”, è possibile che in palestra si constati quanto il proprio reddito non possa competere con quello di persone che hanno abbandonato la scuola e mantengono un tenore di vita decisamente elevato, è possibile che in parrocchia si “prendano” lezioni da catechisti più giovani, invertendo la prospettiva che si sperimenta in classe… Se stare a scuola non è certo un lavoro alla portata di tutti, gestire la propria socialità di insegnante fuori dall’ambito educativo è qualcosa che può essere impegnativo, ma anche in questo caso il discrimine è il modo in cui si gestisce il tutto.

Ci sono, poi, gruppi che si formano e si rafforzano in determinati momenti, soprattutto quando si teme una minaccia. È il caso in cui la direzione didattica di un istituto entri in conflitto con qualche insegnante, situazione che può far scattare una solidarietà di categoria che a cose normali non necessariamente ci sarebbe stata; stesso discorso nei confronti del Ministero o dei genitori, secondo un meccanismo di polarizzazione che la psicologia sociale definisce ingroup-outgroup.

 

Gruppi, ruoli e conflitti

La questione dei ruoli è tutt’alto che secondaria e in un contesto come quello dell’insegnamento può essere ancora più delicata, anche perché assumere una funzione in un gruppo come la classe, significa anche essere oggetto di una narrazione. Un insegnante che punta sulla responsabilizzazione di alunni e alunne, può essere inizialmente percepito come “di poco polso” perché non si impone (con l’obiettivo strategico di far maturare gradualmente la consapevolezza alla sua classe) ma se questa narrazione si diffonde, diviene “la narrazione”; tutto ciò che questa persona fa viene filtrato e percepito in modo tale da accordarsi con l’idea dell’insegnante poco energico, con conseguenze di reputazione non facili da gestire. In questo caso, come in altri relativi alla problematicità dei ruoli, la chiave di volta è la flessibilità (perché ogni ruolo è dinamico), quella stessa flessibilità che serve per essere a proprio agio ricoprendo ruoli differenti in contesti differenti.

Ecco alcuni esempi in cui il ruolo che si incarna può generare qualche conflitto interiore:

  • i ruoli poco stimolanti
    la conseguenza è la perdita di interesse e motivazione
  • i ruoli “assegnati” e non scelti
    che impongono di comportarsi in maniera coerente con il ruolo stesso ma (a volte) non in armonia con i propri valori o le proprie attitudini
  • i ruoli troppo onerosi
    vale a dire quelle funzioni in cui il carico di impegno o di aspettative è troppo pesante e rischia di far esaurire le forze
  • i ruoli contraddittori
    quando all’interno di uno stesso gruppo si deve essere, per esempio, comprensivi ma anche censori e inflessibili, con uno stress non indifferente per barcamenarsi fra gli opposti
  • i ruoli poco chiari
    quelli in cui si deve sempre “navigare a vista” senza che sia chiaro quale sia la maniera giusta di comportarsi.

Gruppi di appartenenza, ruoli e bisogni

Torniamo allora all’inizio: è possibile ritagliarsi un ruolo che soddisfi i propri bisogni? L’appartenenza, come detto, è un bisogno; quando si è parte di un gruppo occupare una posizione che si confaccia alle proprie necessità profonde e contestualmente sia utile alla collettività stessa, è qualcosa che di norma si può raggiungere con un po’ di impegno e tanta buona volontà. Per andare oltre lo schema di Maslow è possibile rifarsi a Richard Ryan ed Edward Reci e alla loro teoria dell’autodeterminazione, che indica come bisogni psicologici di base:

  • l’autonomia
    la possibilità di compiere scelte libere
  • la relazionalità
    sentirsi parte di un gruppo nel quale si abbiano relazioni positive e feedback gratificanti
  • la competenza
    sentirsi capaci di fare e nella piena possibilità di agire.

All’interno di un gruppo è quindi possibile tentare di ritagliarsi un ruolo che ci consenta di agire con un buon margine di autonomia e ci permetta di svolgere compiti che riteniamo utili e importanti. Tutto ciò ovviamente va costruito col tempo e la perseveranza (e con l’auspicio che il gruppo funga da supporto).

Guardando la scena da un altro punto di vista, il ruolo di chi insegna è fondamentale per la motivazione di ragazzi e ragazze: gestire i gruppi-classe in modo tale che ciascuno trovi l’autonomia, la competenza e la relazionalità di cui ha bisogno è importante per innescare dinamiche di partecipazione positiva. Teniamo presente che più i bisogni primari sono in via di soddisfazione, più la spinta del dovere lascia il posto a una motivazione intrinseca che si arricchisce di curiosità, interesse e desiderio di azione.

 

Il gruppo-società per chi insegna

Rimane ancora una questione appesa: il ruolo di chi insegna nel contesto sociale dell’Italia di oggi. L’ipotetico scenario della palestra che abbiamo evocato prima può essere più o meno realistico, quello che è certo è che l’insegnamento secondo qualcuno non restituirebbe più il prestigio sociale di un tempo e che in alcuni casi l’insegnante è oggetto di un immotivato stigma.

Rispondiamo dandoti direttamente del “tu”: se stai leggendo queste righe significa che stai approfondendo la conoscenza di spunti e strumenti per fare al meglio il tuo lavoro, questo vuol dire che la qualità del tuo insegnare ti sta a cuore. Vedi, in-segnare significa “lasciare un segno profondo” e solo chi ama il proprio lavoro riesce a imprimere un segno profondo che cambia e migliora la vita delle persone. Se credi che ciò che fai non riceva il giusto riconoscimento, abbi solo la pazienza (e la fiducia) di attendere il giorno in cui i tuoi ex allievi e allieve verranno a ringraziarti per tutto quello che hai fatto per loro.