Un break tra un approfondimento e l’altro può essere importante, molto importante. Scopriamo perché.

La “pratica distribuita” come strategia di studio

C’è chi si “abbuffa” di studio, concentrando asia e impegno a ridosso di esami o interrogazioni e chi riesce a distribuire gli impegni in modo più equilibrato, partendo molto prima e procedendo un passo alla volta. È quest’ultima strategia che viene definita pratica distribuita; è con questo metodo che le pause assumono un ruolo fondamentale per la memorizzazione dei concetti.

La pratica distribuita si fonda quindi anche su momenti di non-studio che, se all’apparenza possono sembrare improduttivi, sostengono i compiti cognitivi.

 

Strategie e credenze nello studio

Sono numerose le variabili generali e individuali che regolano i processi di apprendimento, fra le prime hanno un ruolo importante le credenze (le convinzioni sulla propria memoria, la fiducia nel proprio metodo, la convinzione che il proprio impegno sia fondamentale per riuscire) e – ovviamente – le strategie adottate per studiare.

 

La pratica distribuita nello studio

Già Hermann Ebbinghaus, nell’Ottocento, fu in grado di riconoscere che l’apprendimento basato su più sessioni distanziate nel tempo, aveva effetti positivi sulla memorizzazione. Oggi la pratica distribuita è una delle strategie di studio più praticate e per adottarla è necessario comprendere che ha alla base una pianificazione abbastanza precisa, uno schema temporale che prevede sessioni di studio, ripetizione e di ripasso. Se studiare in modo massiccio tutto il programma ha effetti sul ricordo a breve termine, ciò che si apprende con questo sistema ha scarse possibilità di permanere a lungo nella memoria.

Nella pratica distribuita il cosiddetto “spacing effect” (le pause) assumono un grande valore e permettono ai ricordi di persistere più a lungo nella memoria. In un celebre esperimento Baddeley e Longman misero a confronto 4 gruppi di portalettere, insegnando loro a digitare codici sulla tastiera di una macchina da scrivere. Il primo gruppo era sottoposto a un training di 1 ora al giorno, il secondo 2 volte al giorno per 1 ora, il terzo 1 volta al giorno per 2 ore, il quarto 2 volte al giorno per 2 ore: a parità di ore spese nella formazione, il gruppo 1 aveva risultati di digitazione migliori, anche dopo 9 mesi.

 

La pratica distribuita nello studio: gli effetti secondari

Poter programmare per tempo le sessioni di studio, prevedendo ripassi, test di verifica e ripetizioni è necessario per la pratica distribuita. Il metodo è efficace, senza dubbio, ma sapersi organizzare è davvero indispensabile e proprio la spinta a organizzarsi meglio (e quindi a crescere) è il primo degli effetti di questa strategia.

Il secondo è certamente la tranquillità, aver studiato per lungo tempo, aver condotto varie attività di test e ripetizione, aiuta a trovare serenità di fronte a un esame, mentre lo studio concentrato nell’ultimo momento può accrescere l’ansia.

A ruota delle prime due un altro vantaggio: programmazione, controllo e tranquillità favoriscono il sonno, indispensabile per riequilibrare l’attività delle sinapsi (che a loro volta sono alla base della memoria).

Ulteriore vantaggio della pratica distribuita è che l’esposizione ripetuta ai concetti è uno dei fattori in grado di indurre il cervello a ricordare.

 

La pratica distribuita nello studio: un esempio

Non è il caso di fornire manuali d’uso, anche perché ogni persona è differente ed è necessario sperimentare per trovare il proprio metodo di studio. Quello che possiamo dare, a mo’ di suggestione, è uno schema. La pratica distribuita può essere messa in opera isolando i temi da studiare (secondo logiche di quantità e di argomenti) e iniziando con 50 minuti di studio, per effettuare una immediata ripetizione mentale (seguita da una pausa) da reiterare subito a distanza di 24 ore e poi dopo qualche giorno; dopo 7 giorni ripasso e poi nuova ripetizione, infine test di verifica. È possibile aumentare il tempo fra ripassi e ripetizioni, una volta acquisita familiarità con gli argomenti. In ogni caso un contenuto, per passare nella memoria a lungo termine, dovrebbe essere rivisto almeno 3 volte.

Si tratta, in sintesi, più di un modello cui ispirarsi che una serie di istruzioni da seguire.