La fisica è una materia “dura”, che si basa su dati e misurazioni ma che nella sua parte teorica può risultare difficile per molte persone. Comprendere i principi della fisica, infatti, implica una grande capacità di elaborare concetti e scenari astratti. Eppure ci sono modi molto affascinanti per comunicarla, ne abbiamo scelti tre…

 

Perché capire la fisica può essere difficile: la corteccia prefrontale, il lobo parietale, il corpo calloso e… il cervello di Einstein

È necessario essere super intelligenti per capire qualcosa della fisica? Assolutamente no, i principi della fisica sono alla portata di ognuno! Certo, vincere un Nobel richiede di avere una marcia in più ma anche traguardi meno prestigiosi sono altrettanto importanti. E non c’è da scoraggiarsi se si incontra qualche difficoltà, è normale.
A proposito di Nobel per la fisica… forse non tutti sanno che… il cervello di Albert Einstein, il più importante fisico di sempre, era un po’ più piccolo della media, più piccolo e meno “pesante” (1.230 g contro i 1.350 g della media). Il celebre scienziato aveva però, come ben sappiamo, alcune caratteristiche che rendevano unica la sua intelligenza. Dal punto di vista “anatomico” questo studio del 2013 e questo del 2014 indicano come Einstein:

  • “avesse cortecce prefrontali relativamente espanse, che potrebbero aver fornito le basi per alcune delle sue straordinarie capacità cognitive, incluso il suo uso produttivo degli esperimenti mentali”
  • “una morfologia insolita nei lobi parietali potrebbe aver fornito substrati neurologici per le sue capacità visuospaziali e matematiche”
  • il corpo calloso era più spesso in diverse zone, rispetto alla media.

Il fisico di Ulm aveva un cervello particolare, con “giri” e “solchi” in numero superiore alla media, pensava in modo “muscolare e visivo” e grazie alla singolarità del corpo calloso, si può dire che avesse un cervello “iperconnesso”, in grado di far interagire in modi straordinari emisfero destro e sinistro. Anche il lobo parietale così sviluppato può aver contribuito alla capacità di far interagire le informazioni nella mente di Einstein, oltre ad aver sostenuto funzioni quali la memoria, la rappresentazione tridimensionale e il pensiero matematico. In generale, un gran numero di “giri” e “solchi” significa una maggior quantità di superficie cerebrale e quindi di “materia grigia”, la sede dei neuroni (curiosità: esiste addirittura uno studio che ipotizza un modello matematico basato sulla relazione fra area, superficie esposta e spessore della corteccia, modello che descrive anche il comportamento di un foglio quando viene accartocciato).

Ok, ma cosa ha a che vedere l’eccezionalità del cervello di Einstein con le difficoltà che diverse persone incontrano nel comprendere la fisica? Beh, il trait d’union è forse la corteccia prefrontale (ben sviluppata nel Nobel per la fisica) che è associata – fra le atre cose – al pensiero astratto, ai comportamenti complessi, alle decisioni, alla pianificazione. Si tratta di un’area che trova piena maturazione solo dopo i 20 anni di età e se questo fatto da solo non spiega la diffusa difficoltà adolescenziale a comprendere la fisica (che, come detto, richiede l’elaborazione di concetti astratti), deve essere tenuto in considerazione per una didattica che sia rispettosa delle potenzialità cerebrali di studenti e studentesse. Possiamo quindi spostare il tiro, scartando l’idea che la fisica sia “difficile” a priori, per concentrarci sulle strategie di insegnamento più adatte a condividerne i principi in modo didatticamente efficace, nel marketing si direbbe passare dal prodotto alla comprensione del target.

 

Comprendere la fisica: lo stato dell’arte

Torniamo per un attimo al 1992, quando David Hestenes, Malcolm Wells, Gregg Swackhamer, Ibrahim Halloun, Richard Hake, ed Eugene Mosca dettero vita al Force Concept Inventory, un questionario per verificare la padronanza dei concetti-base della fisica newtoniana. Facciamo adesso un salto fino al 2016, anno in cui Joshua Von Korff e il suo team, proprio in relazione all’FCI constatarono come nelle classi in cui si utilizzavano metodi di coinvolgimento interattivo l’apprendimento della fisica fosse più completo rispetto a quelle in cui la didattica era di tipo tradizionale. Partire dall’esperienza concreta, per poi andare alla problematizzazione e alla spiegazione teorica, è un metodo che restituisce attualità alla fisica, stimolando curiosità e interesse.

Lo sviluppo dell’FCI, l’avvio dell’indagine e la pubblicazione dei risultati, possono essere considerati i capisaldi di un’innovazione didattica che nel corso degli anni ha portato allo sviluppo di esperienze quali la piattaforma QPlayLearn (che permette a chiunque di approfondire i concetti-base della tecnologia quantistica), il progetto aggregatore di risorse statunitense PhySport o gli Action MOOC di CISIA; una rivoluzione didattica in continuo divenire che affascina, incuriosisce e che –  soprattutto – è efficace!

Decisamente interessante il progetto PhET, che prende le mosse da un’iniziativa del Nobel Carl Wieman e che offre centinaia fra simulazioni interattive e attività didattiche sia per la fisica, sia per matematica, biologia, chimica, scienze della Terra. Utilissimo per chi insegna e coinvolgente per chi apprende, il materiale del progetto è accessibile anche offline ed è tradotto in numerosissime lingue.

 

Innovazione didattica in fisica: la flipped classroom

A volte, per far passare un concetto, può essere utile rovesciare tutto, è questo – detto in maniera un po’ pittoresca – il paradigma che sta alla base dell’innovativo approccio didattico della classe rovesciata, o meglio: flipped classroom (noto anche con il nome di didattica capovolta). Nato dalla constatazione che l’era ipermediale che viviamo produce stili cognitivi e bisogni formativi difficilmente intercettabili da una didattica vecchio stampo, questo sistema scardina l’idea che a scuola si debba imparare e a casa mettere in pratica. Nella flipped classroom a casa si studia la teoria, mentre in classe si mette in pratica, si sperimenta, si crea (si attivano cioè le cosiddette “competenze cognitive alte”). Chi insegna passa a ricoprire il ruolo di tutor, guidando in maniera proattiva la classe. A dar vita alla prima flipped classroom Jonathan Bergmann e Aaron Sams. A oggi le esperienze di flipped physics sono numerose anche in Italia, a testimoniare quanto questo metodo induttivo possa essere efficace nell’incuriosire, far appassionare a una materia fondamentale per la comprensione del mondo, quale la fisica.

 

Innovazione didattica in fisica: la didattica per scenari

Grande interesse sta destando negli ultimi anni la cosiddetta didattica per scenari, metodologia in cui chi studia è al centro del processo. Nata grazie alla sperimentazione del progetto europeo iTEC (Innovative Technologies for an Engaging Classrooms) terminato nel 2014, si basa sulla presentazione di scenari in cui svolgere progetti didattici nei quali il ruolo attivo di studenti e studentesse fa da protagonista. Ragazzi e ragazze, infatti, si prendono carico del progetto, elaborando, sperimentando, interagendo e sviluppando competenze chiave. Lo “scenario” è il contesto entro cui si svolge l’attività didattica, che può essere esterno (contesto urbano, sociale) o interno (supportato dal confronto con esperti). Lo scenario e l’attività vengono comunicati con una “learning story” dal taglio narrativo, dopodiché si passa alla fase di brief e si avvia il lavoro di squadra che porta ogni singolo componente a essere responsabile di compiti o aree specifiche. Si tratta di un metodo ma anche di una diversa modalità di progettazione didattica, i cui risultati sono: apprendimento autonomo, pensiero critico, problem solving e riflessione sul mondo reale, comunicazione, collaborazione, creatività, competenze digitali. In uno “scenario” la fisica diventa elemento da approfondire per comprendere i meccanismi di fenomeni più grandi e “vicini” all’esperienza quotidiana di ragazzi e ragazze; elemento in relazione costante con altre visioni e discipline. La didattica per scenari è immersiva e coinvolgente e di solito risulta altamente motivante.

Strettamente correlato alla didattica per scenari è il paradigma Project Based Learning (PBL), centrato sulla individuazione condivisa, da parte dei gruppi-classe, di obiettivi concreto (e complessi), caratterizzati da autenticità disciplinare; un esempio? Il lavoro svolto in Calabria che ha coinvolto 23 studenti e studentesse con il compito di:

  • “costruire e testare un dispositivo a basso costo (basato su una fotocamera commerciale in disuso) appropriato per eseguire indagini a infrarossi di livello didattico su dipinti”
  • “preparare un dispositivo che funzionasse come un semplice spettrometro (riciclaggio dei componenti ottici di un videoproiettore dismesso), adatto per caratterizzare varie sorgenti luminose al fine di identificare la più appropriata per l’imaging a infrarossi”.

 

Innovazione didattica in fisica: TikTok

@matthewandryanuk

#ad CANNOT BELIEVE THIS WORKS 😱 he can’t swim 😂 #IOPLimitLess #funnyvideos #reaction #trythis

♬ original sound – Matthew and Ryan

 

In Inghilterra l’Institute of Physics (IOP) ha deciso di pensare a TikTok, piattaforma popolare e amatissima dalle giovani generazioni che solo in Italia conta oltre 10.000.000 di utenti al mese. Dopo aver scandagliato a fondo i motivi che ostacolano ragazzi e ragazze nel desiderare e progettare un futuro nel campo della fisica, IOP ha scelto di andare là, dove chi è giovane passa il proprio tempo, e di parlare il linguaggio che TikTok ha contribuito a sviluppare. Ecco che l’Istituto ha ingaggiato alcuni tiktoker che hanno prodotto una serie di video, ha lanciato l’hashtag #ioplimitless e ha sfidato gli utenti a ripetere le prove, per “toccare con mano” le leggi della fisica. Particolare non indifferente la scelta dei topic: la prima prova era quella di stare in piedi sulle uova senza romperle, la seconda quella di mettere un panno sopra un bicchiere d’acqua e capovolgerlo sopra la testa di qualcuno senza far cadere una goccia. I risultati in termini numerici sono stati eclatanti: tasso di engagement superiore di 3 punti percentuali rispetto alle attese, oltre 1.300.000 visualizzazioni dei video, grande incremento di accessi sul sito istituzionale ma soprattutto un ri-posizionamento della fisica che va a demolire i pregiudizi sulla materia e sulla sua “appetibilità”.

Usare un medium come TikTok, rispettandone lessico e codici, può essere un modo per fare divulgazione ma la creazione stessa di contenuti può diventare un progetto didattico interdisciplinare che coinvolge le classi, stimolandone la crescita e rendendo la fisica sempre più “amica” (e quindi sempre meno distante).

 

Physics is for everyone!

Sì, la fisica è davvero alla portata di chiunque, basta trovare il modo più adatto per raccontarla. Le avanguardie didattiche si nutrono di idee ma anche di intuizioni, di competenza ma anche di scommesse, per questo motivo sperimentare, anche per piccoli passi, significa già fare innovazione. L’insegnamento della fisica ha bisogno di tutto questo, e soprattutto ha bisogno anche di te, per cui… se hai un’idea, prova a darle seguito!