Aspirazioni, successi, cadute, ripartenze e vittoria finale. Hai mai pensato che l’università possa essere un viaggio epico? Continua a leggere e scoprirai quanto eroismo c’è in te! E… che cosa tutto questo ha a che vedere con il calcio.

ragazza con lo zaino lungo un percorso

Il percorso universitario come narrazione epica

Ok, nessuno sta dicendo che per far l’università si debba sventolare in aria Durlindana (la spada di Orlando) ma – lo si voglia o meno – passare dalla scuola superiore al diploma di laurea è un vero e proprio viaggio iniziatico, durante il quale si affrontano paure, cambiamenti, ostacoli; un viaggio che cambia e che rende persone più ricche, persone migliori.
In quale misura la persona che arriva alla fine del ciclo di studi è simile a quella che lo ha iniziato? Probabilmente non c’è una risposta universale, ciò che di universale accade è un conoscersi meglio, essere più consapevoli, e non è cosa da poco.
Il percorso universitario è quindi un viaggio epico con un eroe (o eroina) al centro della narrazione: tu.

 

Perché si parla sempre di “viaggio dell’eroe”?

È possibile che tu abbia già sentito altre volte quest’espressione. Per andare alle radici di tutto è necessario citare un libro, L’eroe dai mille volti (Joseph Campbell) che alla fine degli anni Quaranta mostrò come le narrazioni delle varie culture del mondo, raccontano la stessa storia: un fatto che dà avvio all’azione, qualcuno che decide di agire, un ostacolo da superare, la vittoria. Campbell aveva attinto oltre che dallo studio delle leggende popolari, dalle teorie di Jung sugli archetipi (che la Treccani definisce come: “immagine primordiale contenuta nell’inconscio collettivo, che riunisce le esperienze della specie umana e della vita animale che la precedette, costituendo gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni”). Insomma, tutte le persone al mondo, sono sensibili allo stesso tipo di narrazione, è questo il modo in cui possiamo riassumere il pensiero che sta sotto a questa prospettiva. La trama-tipo vede un innesco, una serie di tentativi, i fallimenti, la paura, una o più svolte e poi il climax, la risoluzione catartica del conflitto. In tutto questo, spesso, l’eroe riesce a trovare qualcosa di straordinario (o il modo per vincere) a partire da cose, fatti, azioni banali; l’eroe trasforma la banalità in ispirazione geniale.

 

Il viaggio dell’eroe nel cinema, nella letteratura, nelle leggende

Dai poemi omerici a Matrix, dai romanzi fantasy di Ursula Le Guin a Rambo, da I promessi sposi a Il conte di Montecristo, fino al racconto che di sé fanno alcuni personaggi della politica, tutto ruota attorno allo stesso schema narrativo… ci avevi mai fatto caso? Non solo, quando agli elementi tradizionali del viaggio eroico si associa l’essere “piccoli”, ecco che il consenso per la storia diventa unanime (e la cosa funziona anche per storie vere); per questo motivo siamo portati a prendere le parti del Davide di turno, come accadde nel 1992 quando la Danimarca vinse il campionato europeo di calcio. Se non la conosci, senti la storia, anzi, leggiamola assieme attraverso la struttura della narrazione epica:

  • Il fatto che scatena l’avvio della storia
    la Danimarca non si era qualificata, quando le squadre che si erano guadagnate la qualificazione erano già avanti con la preparazione, la Jugoslavia venne estromessa per questione belliche (era il 29 maggio e il torneo avrebbe preso avvio il 10 giugno), in quel momento i giocatori danesi erano in vacanza. Il posto della Jugoslavia andò di diritto alla Danimarca, arrivata seconda nel girone
  • Le difficoltà
    come detto i calciatori danesi erano in vacanza sparsi qua e là per il mondo, in epoca in cui il telefono cellulare non esisteva. Contattarli tutti fu un’impresa e presentarsi al via del torneo con giocatori non allenati e senza la stella Michael Laudrup (il rapporto fra CT e buona parte dei giocatori era pessimo già durante le qualificazioni e per questo il maggiore dei fratelli Laudrup non ricevette nemmeno la chiamata) appariva un semplice dovere di firma, non certo una partecipazione con velleità agonistiche. A questo si aggiunse il dato del campo: dopo 2 partite la Danimarca aveva 1 solo punto fatto e 0 gol segnati
  • La prima svolta
    nella partita con la fortissima Francia i giocatori danesi, sino a quel momento celebri più per l’abbronzatura che per le prestazioni, impressero una prima svolta al loro torneo, segnando il gol-vittoria a poco più di 10 minuti dalla fine e qualificandosi per le semifinali
  • La trovata geniale
    l’allenatore Nielsen, rendendosi conto di non avere un gruppo ma una semplice somma di giocatori, decise di sfruttare l’unica cosa che vedeva all’orizzonte dalla finestra del suo albergo e… portò tutta la ciurma al fast food per quello che oggi si chiamerebbe team building, mossa assolutamente originale che cambiò però il modo di stare in campo dei suoi ragazzi
  • La seconda svolta
    ad aspettare i danesi al varco un’altra squadra fortissima, l’Olanda, che in svantaggio 2 volte, inseguì il pareggio e lo raggiunse solo a 4 minuti dalla fine, con la squadra Danese che a quel punto appariva esaurita e scoraggiata (fra le altre traversie, durante la gara, al difensore Henrik Andersen occorse un gravissimo infortunio, la rottura della rotula). A decidere le sorti furono i rigori, dove successe l’imprevedibile, ovvero il portiere Peter Schmeichel parò il tiro di una stella assoluta come Van Basten. Con un 5-4 a referto fu quindi la nazionale biancorossa ad approdare alla finale
  • La vittoria
    in finale i danesi fecero un sol boccone della Germania (altra stella del firmamento calcistico), vincendo con un secco 2-0
  • Il riscatto oltre la vittoria
    se la storia sin qui appare già epica, c’è un altro elemento che va considerato, il mediano Kim Vilfort, autore del gol che dette la sicurezza della vittoria alla Danimarca, faceva la spola fra il ritiro e un ospedale in patria, dove la piccola Line, sua figlia, a soli 8 anni stava combattendo contro una terribile leucemia. Con tutta la squadra compatta a giocare per dare a Line una gioia, il fato volle che proprio suo papà fosse l’eroe che appose il sigillo definitivo a un’avventura straordinaria, mai più ripetutasi nella storia del calcio. Quella fu l’ultima soddisfazione per la bambina, che dopo poche settimane morì.

Questa è una storia vera e se ti ha preso, facendoti prima incuriosire, poi risuonare qualcosa dentro, poi gioire e infine spezzandoti il fiato, lo si deve al fatto che noi esseri umani siamo sensibili a questi schemi narrativi, che in qualche modo fanno parte di noi.

 

Inizia il tuo viaggio eroico, iscriviti all’università

Bene, iscriviti, provaci, scommetti su di te. Troverai difficoltà, ostacoli, nemici (simbolicamente, è ovvio), ma anche alleati, potrà capitarti di cadere ma saprai rialzarti e te la giocherai, lotterai per arrivare alla fine. Potrai incontrare un vero e proprio “drago”, che riuscirai a superare con la forza, con l’astuzia oppure riconoscendo che tutto ciò che combatti è in qualche modo una parte di te, e allora integrerai il drago e sarai ancora più forte. Comunque vada avrai una storia da raccontare, comunque vada ne varrà la pena. Se ti troverai senza bussola prova a pensare in termini di viaggio eroico, scoprirai la tua strada anche nella nebbia.

 

Il viaggio dell’eroe: non tutti la pensano così

La teoria del viaggio dell’eroe è basata sulla qualità e la struttura della storia. Secondo il neuroscienziato e psicologo Steven Brown, le cose starebbero però diversamente: sarebbero i personaggi, la loro psicologia a coinvolgere chi legge, guarda o ascolta una storia, “le persone si avvicinano alla narrativa in un modo centrato sul personaggio e i suoi tratti psicologici, focalizzandosi sugli stati mentali del protagonista della storia”, afferma.