La bellissima professione dell’insegnante fra stress e soddisfazione

 

Insegnanti sotto stress: è allarme?

Sì e no, cerchiamo di capire perché.

Sì, è allarme per lo stress di chi insegna perché varie ricerche indicano che maestre, maestri, professori e professoresse sono troppo spesso sull’orlo di una crisi di nervi.

No, o meglio: ni, perché lo stress è un problema epocale che riguarda tutti, tanto da essere definito come “l’epidemia del 21° secolo” dalle più alte cariche sanitarie del pianeta; questo non cambia il disagio di chi insegna ma lo relativizza, rendendolo un dato trasversale (come dire: sì, chi insegna è sotto stress ma… è in “buona” compagnia).

 

Insegnanti sotto stress: in Italia e non solo

Dalla Nuova Zelanda al Regno Unito, i report confermano che lo stress è diffusissimo tra il personale docente, sintomi fisici, scoramento, eccesso di ore di lavoro, mancanza di supporto psicoemotivo e una cultura organizzativa “tossica”, sono problemi diffusi un po’ ovunque. L’Italia non è da meno e gli ultimi dati indicano che 1 insegnante su 2 è a rischio burnout e che lo è anche 1 dirigente su 3.

Questo quadro è allarmante e impone alla collettività una riflessione aperta, franca e definitiva.

 

Anatomia dello stress scolastico

Leggendo i risultati dei vari paper, ci sono alcuni elementi comuni che meritano di essere appuntati:

  • stress e insoddisfazione sono legati a doppio filo, l’uno alimenta l’altro ed entrambi portano a non amare più la professione
  • l’efficacia dei percorsi scolastici dipende anche dal benessere di chi insegna
  • la qualità della vita e delle relazioni si riducono al crescere dei livelli di stress
  • il maggior carico di stress si sperimenta nelle scuole superiori
  • lo stress percepito e il “presentismo” (imporsi di lavorare anche in malattia) crescono al crescere dell’età
  • insonnia, stanchezza cronica, irritabilità, emicranie e facilità al pianto sono i sintomi più comuni.

 

Lo stress e la sua storia

È del 1956 la prima teorizzazione dello stress, opera di Hans Seyle, che lo definì come “una risposta aspecifica del corpo” che si verifica rispetto a qualsiasi richiesta, cioè uno stato di iper-attivazione dell’organismo che non è legata alla percezione di un pericolo specifico ma che diventa persistente. Successiva le idee di “eustress” (quella quantità di tensione utile per fare le cose al meglio) e “distress” (il prolungarsi dello stress che porta all’esaurimento).

Quando lo stress (che comporta sintomi fisici, comportamentali e psicologici) viene sperimentato troppo a lungo, è allora che sorgono i problemi veri e propri perché la natura ha sviluppato la nostra capacità di sopportare lo stress in modo tale che questo non sia permanente ma funga da risposta funzionale a una situazione di pericolo. Scampato il pericolo, siamo predisposti per tornare in una situazione di assenza di stress. Purtroppo, il cosiddetto “logorio della vita moderna” ci porta a sperimentare uno stress pressoché continuo, stato non previsto dalla nostra fisiologia, cui conseguono danni fisici e psicologici.

 

Il burnout

Termine che da qualche anno è uscito dai testi di psicologia per entrare nel vocabolario comune, burnout  indica uno stato estremo di esaurimento. Entusiasmo, prime delusioni (stagnazione) e frustrazione sono le 3 fasi tipiche del burnout che portano alla fase finale, detta disimpegno, che è la peggiore in assoluto da sperimentare.

 

Insegnanti: fronteggiare lo stress

Qualche tempo fa abbiamo messo a disposizione un piccolo manuale per la gestione dello stress, si tratta di una guida pratica per concedersi tempo e attenzioni. Aggiorniamo i consigli con una considerazione legata alla cosiddetta “teoria polivagale“, secondo cui al sistema simpatico (che si attiva in condizioni di pericolo e presiede le reazioni di lotta e fuga) e a quello parasimpatico (il “funzionamento” normale dell’organismo, quando non ci sono pericoli) si affianca una terza modalità, detta dorsovagale, che genera il collasso, o freezing (per alcuni animali è la morte apparente che scoraggia i predatori). Senza entrare nel dettaglio delle caratteristiche fisiologiche del nervo vago e della teoria di Stephen W. Porges (colui che l’ha elaborata), ciò che possiamo dire è che se c’è un modo di uscire da questa melma di stress, l’unica maniera per trovarlo è in una dimensione di gruppo. Ciò che gli studiosi della teoria polivagale ci insegnano è infatti che il “freno vagale” (ciò che ci rende resilienti e ci permette di sperimentare il benessere) può essere attivato con relazioni sociali positive; sentirsi “al sicuro” e sperimentare il piacere di stare in mezzo alle persone, sentendole come amiche, è fondamentale per allontanarsi da quegli stati fisiologici che sono legati alla paura.

Come detto prima però, tutta la collettività è chiamata a fare qualcosa per invertire la tendenza. Ci sono cose, infatti, su cui sarebbe opportuno impegnarsi:

  • la semplificazione burocratica
    l’eccesso di burocrazie è spesso una zavorra demotivante, semplificare il mestiere di insegnante può aiutare chi sta in cattedra a concentrare le energie sull’oggetto del proprio lavoro, che è condividere il sapere
  • l’alleggerimento delle responsabilità
    figlia, probabilmente, anch’essa di un eccesso di burocrazia, l’attribuzione di responsabilità extra-didattiche a chi conduce una classe, è un vero e proprio fardello che impedisce di insegnare con la giusta tranquillità
  • la mitigazione delle pretese
    chiunque abbia figli o figlie, può e deve impegnarsi per rivolgersi ai docenti con correttezza, gentilezza e rispetto, in modo da riconoscere a professori e professoresse l’importanza e l’autonomia indispensabili per lavorare senza tensioni (quando il proprio ruolo è rispettato e riconosciuto si sperimenta una sensazione di autoefficacia che allontana lo stress)
  • la predisposizione di supporti professionali
    dallo sportello di ascolto per insegnanti all’organizzazione di attività formative per la corretta gestione dello stress, è possibile fare molto per migliorare la qualità della vita del corpo docente
  • la diffusione della consapevolezza
    se c’è bisogno di acquisire soft skills specifiche per riconoscere e gestire lo stress, c’è altrettanta necessità di capire – sotto il profilo normativo – cosa sia lo stress lavoro-correlato.

Per sopravvivere allo stress – in sintesi – servono quindi una serie di interventi, che riguardano:

  • la consapevolezza personale
    conoscere e riconoscere i segnali dello stress
  • le modalità di “scarico”
    praticare le attività che “liberano il corpo dalle tossine dello stress”
  • la costruzione degli argini
    imparare le tecniche di gestione, quelle che costruiscono un argine allo stress, coltivare relazioni
  • le questioni strutturali
    ri-definire il lavoro e le condizioni in cui si lavora in modo che siano centrate sulle persone
  • la gentilezza
    beh, su questo non c’è molto da aggiungere, no?

 

Insegnare è un bene comune

Sì, tu che insegni lo sai bene: il tuo ruolo è indispensabile, ciò che fai è un vero e proprio patrimonio dell’umanità. Speriamo quindi di averti dato qualche spunto per riconoscere lo stress e magari… allontanarlo dalle tue giornate.