La relazione attraverso i device digitali è qualcosa di diverso rispetto al contatto umano che tocca e sollecita tutti i 5 sensi. Qualcosa di diverso che non può sostituire, ma solo accompagnare, lo stare assieme in presenza

 

Mai soli eppure sempre più soli

È un dato rilevato ormai da qualche anno (e chi insegna, che è a contatto quotidiano con ragazze e ragazzi, lo sa bene) quello che ci indica come le generazioni giovanili siano caratterizzate da una condizione sempre più pervasiva di solitudine. Intendiamoci, non si tratta dell’unica dimensione con cui poter descrivere la cosiddetta “generazione Z“, che ha tanti pregi, grandi spunti e incredibili qualità. È però un campanello d’allarme che è bene non trascurare per capire caratteristiche e bisogni di giovani in perenne connessione digitale ma con il rischio di trascurare l’esperienza concreta delle relazioni. Paradossale, quindi, ma reale la solitudine di chi, nell’era dell’iperconnessione, vede impoverirsi le proprie esperienze sociali.

 

La scuola come esperienza di socialità

Le circa 6 ore al giorno di socialità concreta per chi frequenta la scuola, che anche l’Istat riporta nel paper I tempi della vita quotidiana, si devono soprattutto all’esperienza di vita che si fa in classe. Venendo meno quest’ultima, nel periodo della pandemia ragazzi e ragazze si sono rifugiati in una modalità (quella digitale) che elimina alcuni sensi, è mediata e perturbata da stabilità della connessione e performance dei dispositivi, trascura la prossemica (la gestione della distanza fisica fra persone).
Al di là della pandemia, che ha ovviamente portato a un precipitare della situazione, la tendenza all’iperconnessione (fenomeno che vede lo smartphone acceso 24 ore su 24) accompagna le generazioni giovani ormai da anni. Il fenomeno ha quindi una sua “storia” ed è sotto la lente di ingrandimento da un po’.

FOMO: Fear Of Missing Out

La “solitudine digitale” è subdola, si fatica a rendersene conto ed è difficile capire come la connessione permanente possa essere un problema; godere della gratificazione di un like è più semplice rispetto a comprendere e affrontare un problema di vera e propria dipendenza che inghiotte le relazioni. Fenomeno collegato all’iperconnessione è il timore di essere tagliati fuori, noto come FOMO (nel link l’articolo che coniò il temine) e che per esteso è Fear Of Missing Out, pare animare la quotidianità di ragazzi e ragazze che sono in connessione continua con le proprie amicizie ma anche con liker e follower, e che non fanno un passo senza girare un video per TikTok o un reel per Instagram. La vita digitale pare dunque quella “vera”, quella in cui accadono le cose.
Le dirette o i video differiti documentano ormai ogni momento della vita, dal pranzo all’acquisto di capi d’abbigliamento, dal prendere i mezzi pubblici alla ricezione e l’unpacking di vari oggetti. Anche a scuola capita che studenti o studentesse, eludendo le regole, trasmettano in diretta durante le lezioni. Ma alcuni fenomeni come il condividere con la propria cerchia di follower le riflessioni e i commenti sulla vita (appena usciti da una partita di calcio, da un negozio, da un’interrogazione…) o le dirette silenziose in modalità selfie mentre si mangia, possono apparire più significativi se si guardano con l’ottica di mettere in luce le dinamiche di dipendenza; è come se la vita si fosse spostata online.
In questo scenario, in cui si sente impellente il bisogno di controllare lo smartphone o pubblicare aggiornamenti a ritmo continuo, la semplice separazione fisica dai device è vissuta con estrema difficoltà dalla generazione Z; i livelli di attenzione calano e pure in classe ragazzi e ragazze sentono un vero e proprio “bisogno” di accedere ai telefonini, arrivando anche a casi in cui la privazione del dispositivo scatena i tipici sintomi dell’astinenza.

Cosa succede quando si prova una sensazione di solitudine

Quando si pensa di vivere un isolamento sociale, la condizione che si prova “ha un impatto sulle emozioni, sulle decisioni, sui comportamenti e sulle interazioni interpersonali”, così una ricerca del lontano 2009. Ancora una ricerca (questa volta siamo nel 2021) rileva come, dal punto di vista cerebrale, sono i meccanismi legati alla formazione della fiducia a essere toccati dalle conseguenze della solitudine. Fra gli altri aspetti che possono essere influenzati dalla diminuzione delle relazioni dal vivo a favore di quelle digitali sono relativi alle competenze relazionali, che si sviluppano appieno quando, grazie alla compresenza fisica delle persone, tutti e 5 i sensi sono sollecitati. A questo proposito c’è chi teme che, con competenze relazionali meno definite, si possa andare incontro a difficoltà nella gestione di feedback negativi da parte degli altri (in rete basta un clic per passare oltre, cosa che nelle relazioni concrete non si può fare).

 

Come contrastare la cyberdipendenza

Spesso la cyberdipendenza si inscrive in un circolo vizioso: più si prova la solitudine “fisica” e più ci si butta sul mondo digitale, più ci si sposta sul digitale, più ci si isola… In classe si può scegliere di eliminare del tutto la presenza degli smartphone valorizzando la ricchezza dei rapporti in presenza, per portare alla consapevolezza di quanto possa essere diverso vedersi dal vivo rispetto al vedersi tramite uno schermo. Anche tutte le esperienze in cui si interagisce fisicamente in gruppo possono restituire a ragazze e ragazzi una dimensione di cui hanno bisogno, una gioia di vivere che già da sola combatte la solitudine, un fare gruppo che lega e cementa i rapporti.

 

Essere connessi per via digitale: un’esperienza da rivalutare

Attenzione a non “buttar via il bambino con l’acqua sporca”: la possibilità di interagire e confrontarsi con persone geograficamente distanti è una gran cosa, l’importante è collocarla nella giusta dimensione, dandole un ruolo in cui diventa arricchimento senza fagocitare il resto. Non dimentichiamo che durante la pandemia la rete ha letteralmente “salvato” una intera generazione, garantendo quella prossimità che era impossibile da vivere di persona…